Piano di Sicurezza
Per gli impianti di trattamento dell'acqua al punto d'uso
Come predisporre un piano di sicurezza
Lo sviluppo di un piano di sicurezza per un dispositivo di trattamento non deve essere considerata un’attività complicata o troppo laboriosa. L’obiettivo è semplice: garantire che il dispositivo fornisca la costante erogazione di acqua potabile di buona qualità con le modalità previste dal dispositivo stesso e che queste caratteristiche siano mantenute per il periodo d’uso previsto, con la massima sicurezza attendibile.
I documenti che costituiscono il piano forniscono lo strumento che consente di sovrapporre la valutazione dettagliata dell’affidabilità del trattamento all’analisi dei rischi igienico sanitari dell’acqua potabile da trattare, effettuata secondo pratiche ben consolidate.
A grandi linee, il passo più importante con cui iniziare è la conoscenza delle caratteristiche di qualità dell’acqua che il dispositivo dovrà trattare e delle esigenze specifiche dell’utente.
Per far questo, potrà essere effettuata un’analisi utilizzando i parametri e le metodologie indicate negli Allegati I del Dlgs 31/2001 e II (quest’ultimo modificato dal DM 14 giugno 2017 di recepimento della direttiva 2015/1787) che dovrà essere successivamente confrontata con le informazioni ottenute dal gestore del servizio idrico del territorio. I gestori hanno l’obbligo di rendere pubbliche le caratteristiche di qualità dell’acqua distribuita e, quasi sempre, i risultati analitici sono disponibili sui siti web dei vari enti.
L’Autorità di Regolazione per l’Energia Reti e Ambiente (ARERA) ha stabilito che i gestori del Servizio Idrico Integrato rendano disponibile la propria Carta dei servizi e informazioni relative alla qualità dell’acqua fornita in modo che siano accessibili a tutti gli utenti finali.
I parametri che devono essere comunicati al cittadino sono: pH, residuo fisso 180°, durezza, conducibilità, calcio, magnesio, ammonio, cloruri, solfati, potassio, sodio, arsenico, bicarbonato, cloro residuo, fluoruri, nitrati, manganese.
Dalle eventuali differenze rilevate, sarà possibile individuare l’impatto della rete di distribuzione interna all’edificio e, pur nell’ambito dei valori che rendono l’acqua stessa idonea all’uso potabile, quali valori possono essere migliorati per divenire più soddisfacenti all’utente.
"Analisi di rischio del trattamento dell’acqua"
I piani di sicurezza dei sistemi idrici si basano sull’analisi dei rischi sito specifica effettuata utilizzando le griglie suggerite dalle linee guida dell’OMS, con la costruzione della relativa matrice di rischio.
La metodologia da utilizzare per la costruzione di un piano di trattamento è la medesima e parte da una opportuna analisi dei rischi utilizzando gli stessi criteri sia per quanto concerne la classificazione, ei livelli di gravità, sia per la scelta della scala di valori: insignificante, basso, medio, alto, critico.
Le valutazioni risultanti saranno esclusivamente di tipo qualitativo, ma, anche se questo approccio può sembrare superficiale e approssimativo, risulta essere il più onesto per un’analisi di rischio prevalentemente operativa.
Presumendo che l’acqua da trattare sia potabile e non presenti alcuna non conformità, la classificazione dei rischi sarà basata sui parametri organolettici, e solo marginalmente su altre criticità, chimiche o microbiologiche, da valutare caso per caso, anche in funzione di specifici gruppi di utenti più vulnerabili, come bambini, in particolare se minori di tre anni, o adulti affetti da particolari patologie.
"Parametri organolettici"
I parametri organolettici rappresentano un elemento chiave nella scelta dell’utilizzo dell’acqua da bere, indipendentemente dalla correlazione con un eventuale rischio sanitario. Gli aspetti così detti estetici come colore, odore e sapore, inducono i consumatori a valutarne la non accettabilità a prescindere dalla conoscenza di un reale inquinamento presente nell’acqua. È comune, e peraltro comprensibile, che un’acqua con caratteristiche sgradevoli sia vista con sospetto dal consumatore, mentre un’acqua esteticamente perfetta induca a essere ritenuta salubre e pulita.
Il livello di accettabilità di un parametro organolettico è estremamente variabile tra consumatori, sia per motivazioni sociali e culturali, ma anche per la diversa sensibilità individuale nei confronti di piccolissime variazioni di questi parametri. Per questo motivo, nell’analisi di rischio, dovranno essere assegnati punteggi di probabilità adeguati secondo le specifiche circostanze. Dovranno inoltre essere approfondite le possibili cause delle variazioni di questi parametri in quanto sempre riconducibili a presenze indesiderate chimiche o biologiche, o come risultato dei processi di disinfezione.
Nella maggior parte dei casi, infatti, le alterazioni organolettiche derivano da processi di sviluppo di microorganismi acquatici che si annidano dove si è formato un biofilm all’interno degli impianti di rete dell’edificio, o per fenomeni di corrosione o ristagno di acqua. Ci sono tantissimi microrganismi che, pur non rappresentando alcun pericolo per la salute, in quanto non patogeni, sono altamente indesiderabili perché provocano alterazioni dell’odore e del sapore: fra questi ci sono alcuni attinomiceti, funghi e alghe microscopiche che si annidano e prolificano nei biofilm, con particolare affinità per le gomme. Altri batteri determinano la colorazione rossastra in presenza di sali di ferro e manganese; altri possono colonizzare all’interno dei filtri riducendone gravemente l’efficienza.
Un’altra causa frequente delle alterazioni organolettiche è la presenza di residui di prodotti utilizzati nella disinfezione, e, in particolare, di derivanti della clorazione. Si tratta di sottoprodotti, tra cui trialometani e le cloroammine, che hanno il potere di mantenere la capacità disinfettante lungo le reti di distribuzione ma che conferiscono all’acqua un gusto sgradevole. La loro presenza e regolamentata dalla normativa vigente e non deve superare determinati valori limite ma la loro eliminazione si ottiene esclusivamente con il trattamento al punto d’uso.
Anche la presenza di altri elementi, come ferro, rame, zinco e cadmio, quasi sempre derivati da fenomeni di corrosione degli impianti, può alterare il gusto e il colore dell’acqua e, per questo motivo, è importante non sottovalutare questi fattori e approfondirne le cause per ottimizzare la scelta del trattamento più appropriato.
"Parametri chimici"
Affinché l’acqua sia giudicata idonea all’uso potabile è necessario che le concentrazioni dei singoli elementi chimici, determinate analiticamente, siano al di sotto dei valori limiti stabiliti dalla normativa (Dlgs 31/2001- Allegato I) ma, nel caso in cui un valore sia tendenzialmente vicino a tale limite, la sua concentrazione può essere considerata una criticità. Calcolando percentualmente quanto ogni singola grandezza si discosta dal limite di potabilità è possibile definire un livello di rischio che indichi la probabilità che quel singolo parametro raggiunga o addirittura superi il limite. Più piccola sarà la percentuale, più alto sarà il rischio che potrà essere indicato nella tabella di analisi come: raro, poco probabile, moderato, probabile, quasi certo. È il caso tipico del piombo, presente solo in tracce nell’acqua distribuita, che viene rilasciato dalle condutture interne, soprattutto se non di recente costruzione.
Questo tipo di valutazione e il successivo inserimento nell’analisi di rischio sito specifica può essere fatta selezionando i parametri più significativi sulla base delle conoscenze del territorio e dell’analisi effettuata. La scelta della tipologia di trattamento che il dispositivo andrà ad effettuare al punto d’uso dovrà tendere all’abbattimento del valore di rischio indicato, anche utilizzando filtrazioni specifiche, ad esempio per arsenico, nitrati, nichel, cromo o altro.
"Parametri microbiologici"
La presenza di microorganismi nell’acqua distribuita in rete è mantenuta a livelli di sicurezza grazie alla disinfezione che viene fatta dal gestore e il rischio di una contaminazione in questo senso potrebbe essere legata proprio al dispositivo di trattamento. Le buone prassi di installazione e manutenzione, la sanificazione degli erogatori e la massima attenzione dal punto di vista igienico in tutte le operazioni effettuate sul sistema sono fondamentali per evitare l’innesco di contaminazioni microbiologiche che possono introdurre gravi rischi per la qualità dell’acqua.
Infatti, l’acqua trattata, da cui è stato eliminato tutto il disinfettante residuo, è estremamente vulnerabile ed esposta molto facilmente a pericoli microbiologici.
"Valutazione dei rischi"
La valutazione dei rischi rappresenta il processo per la stima di tutti i fattori significativi che intervengono in uno scenario di esposizione causato dalla presenza di pericoli e della probabilità che gli stessi si manifestino in termini potenzialmente dannosi. Il rischio (R) può essere quindi definito come il prodotto tra il livello di gravità (L) associato ad un evento e la probabilità (P) che lo stesso si manifesti:
R = L x P
R = Rischio
L = Livello di gravità
P = Probabilità di accadimento
Per classificare sia il livello di gravità (L) che la probabilità di accadimento (P) di un fenomeno vengono stabiliti cinque punteggi, dalla cui combinazione ha origine la matrice del rischio.
Tale matrice è suddivisa in quattro zone, evidenziate da altrettanti colori, che rappresentano i differenti gradi di rischio:
Zona verde (R <6) rischio basso.
Zona gialla (6 <R <9) rischio medio.
Zona arancione (10 <R <15) rischio alto.
Zona rossa (R > 15) rischio molto alto.

Costruzione della matrice di rischio
Una volta stabiliti gli obiettivi del trattamento, ed effettuata un’analisi di rischio dell’acqua, è possibile valutare l’affidabilità dell’apparecchiatura proposta individuandone le eventuali criticità per la costruzione della matrice di rischio.
Si dovrà quindi entrare nel dettaglio del dispositivo, delle varie sezioni e componenti ipotizzando il loro malfunzionamento o rottura e valutando, in maniera sistematica, se le contromisure messe in atto per impedire il generarsi di un evento pericoloso siano o meno sufficienti.
Dovranno essere valutate le criticità e vulnerabilità dei singoli elementi e del sistema, dovute sia a cause accidentali che intenzionali, introducendo le misure di salvaguardia più idonee per ridurre i rischi a livelli di accettabilità.
Da ultimo, nella matrice di rischio dovranno essere riportate le misure di controllo esistenti e la misurazione dell’efficacia attraverso la loro validazione con delle note basate sull’effettiva valutazione.
Ai fini della predisposizione di matrici di rischio per i diversi dispositivi, nell’ambito delle specifiche attività del produttore è consigliabile predisporre delle schede che indichino alcune caratteristiche degli impianti, suddividendoli in base alla funzionalità e alla tipologia di trattamento, le cui caratteristiche variano per i differenti ambiti d’impiego. Questa suddivisione degli impianti prodotti ne consente una classificazione che sarà utilizzata per l’elaborazione di differenti matrici di rischio.
I dispositivi di trattamento POU possono essere connessi in maniera permanente alla rete di distribuzione oppure destinati ad un uso discontinuo collegati a contenitori per la raccolta dell'acqua filtrata per gravità o pressione.
Per entrambe queste tipologie deve essere ulteriormente distinto l'ambito d'uso domestico da quello collettivo. La distinzione tra ambito collettivo di ristorazione, dove il dispositivo è gestito dall'operatore del settore alimentare, e ambito collettivo non sottoposto agli obblighi delle imprese alimentati, non è pertinente per questa trattazione in quanto la stesura del PSA, sulla base della relativa matrice di rischio, è la medesima in entrambi i casi e non interferisce con le conoscenze messe a disposizione dell'OSA per la predisposizione del suo manuale HACCP, né con quanto già eventualmente predisposto sulla base di manuali di corretta prassi igienica, ma anzi le integra.
Per una corretta conoscenza del sistema sono necessarie informazioni che dovranno essere fornite dal titolare e responsabile della gestione (proprietario, amministratore, ecc.) nel quale si intende istallare il dispositivo POU. La matrice del rischio infatti prevede che vengano valutati, oltre alle caratteristiche di qualità dell'acqua distribuita nell'edificio stesso, alcuni eventi sito-specifici quali:
- la pressione dell'acqua e l'utilizzo discontinuo della stessa;
- i materiali utilizzati per le tubazioni (in genere l'anno di costruzione dell'edificio è dirimente per la valutazione del rischio di cessioni di metalli pesanti da parte delle condutture);
- la presenza di serbatoi di stoccaggio e di autoclavi che mantengano la costanza di carico nell'impianto;
- la presenza di altri dispositivi di trattamento, come ad esempio gli addolcitori condominiali.
Per quanto concerne la funzionalità è necessario individuare alcune caratteristiche peculiari dell'impianto correlate alle finalità dell'installazione, da mettere in evidenza sia per soddisfare le richieste dell'utente, sia per attestare l'effettiva capacità dell'impianto di assolvere al compito richiesto.
Le finalità di un'installazione sono generalmente:
- a) miglioramento organolettico: sapore, odore e colore;
- b) aumento di sicurezza relativamente ad eventuali sostanze indesiderate presenti per migrazione dai materiali delle infrastrutture dell'immobile, quali tubazioni e condutture, serbatoi, autoclavi, ecc.;
- c) miglioramento delle caratteristiche di qualità dell'acqua, quando, pur essendo le concentrazioni di parametri indesiderati conformi ai requisiti minimi per il giudizio di idoneità all'uso potabile, se ne voglia ulteriormente ridurre la quantità totale (metalli pesanti, cromo, nitrati! nitriti, antiparassitari, residui di prodotti per la disinfezione, ecc.).
Queste finalità sono, nella maggior parte dei casi, strettamente collegate e imprescindibili l'una dall'altra: infatti il miglioramento delle caratteristiche organolettiche passa inevitabilmente dalla riduzione di derivati del cloro utilizzato per la disinfezione o di altri microinquinanti o batteri che sono alla base degli aspetti sgradevoli rilevati. Tuttavia, può essere importante segnalare il caso in cui una finalità è preponderante rispetto ad un'altra perché questo può incidere sulla scelta di una componentistica rispetto ad un'altra e, di conseguenza, sulla matrice di rischio.
La refrigerazione e la gasatura sono trattamenti che possono rientrare nelle finalità di miglioramento organolettico in quanto hanno lo scopo di aumentare il grado di accettabilità al palato riducendo la sensibilità individuale nei confronti di sapori sgradevoli.
AI fine di effettuare la classificazione dei dispositivi in funzione della tipologia di trattamento, è necessario individuare quale processo caratterizza il dispositivo stesso.
L'installazione, di più di un trattamento all'interno di un singolo dispositivo, comporta l'elaborazione della matrice di rischio del sistema complesso ed una differente codifica che sarà peculiare del singolo operatore economico.
Per quanto riguarda gli elementi base delle tecnologie di trattamento disponibili, il Ministero della Salute ha realizzato una linea guida riguardante la "descrizione dei trattamenti per le acque destinate al consumo umano conosciuti a livello nazionale".
Il documento, che non va inteso come esaustivo bensì soggetto ad integrazione e ad aggiornamenti sulla base dello stato delle conoscenze in materia di trattamenti delle acque al punto d'uso, riconosce attualmente le seguenti tecnologie di trattamento:
- a) Filtri meccanici
- b) Mezzi attivi:
- resina scambio ionico
- carbone attivo
- altre tipologie di materiali adsorbenti
- c) Separazione su membrana:
- microfiltrazione (MF)
- ultrafiltrazione (UF)
- nanofiltrazione (NF)
- osmosi inversa (RO)
- d) Campi magnetici
- e) Impianti UV
- f) Refrigerazione
- g) Gasatura
- h) Elettrodeionizzazione
La filiera di trattamento più generale relativa ad un impianto al punto d'uso è riportata, assieme alla descrizione delle specifiche tecnologie, nella sezione successiva.
Descrizione degli impianti
La filiera di trattamento può essere articolata in modo differente a seconda dello specifico impianto, pertanto vengono di seguito esemplificate le principali casistiche impiegate nel trattamento dell’acqua al punto d’uso.
Gli impianti oggetto della presente trattazione non vanno intesi come potabilizzatori, bensì come apparecchi in grado di migliorare le caratteristiche organolettiche, ed eventualmente di composizione, di un’acqua destinata al consumo umano, fornita dalla rete idrica che già presenta le caratteristiche di potabilità. L’installazione di questi apparecchi avviene in prossimità del punto d’uso, quindi sempre dopo il contatore principale dell’acqua.
Se la pressione di alimentazione della rete idrica è elevata può essere necessario il montaggio di un riduttore di pressione; tale indicazione va riportata, a cura del produttore, sul libretto d’uso e manutenzione.
Ai sensi del DM 25/2012 è obbligatoria l’installazione di una valvola di non ritorno sull’ingresso dell’acqua per evitare possibili reflussi nella rete di adduzione di acqua senza cloro copertura in caso di sovrapressioni a valle. Per gli impianti dotati di scarico va prevista anche una valvola di non ritorno sull’uscita dello stesso, per prevenire retro-contaminazioni batteriche che inquinerebbero l’apparecchio.
Un conta litri per il monitoraggio della quantità di acqua filtrata è sempre consigliato. Tale strumento può anche segnalare, attraverso sistemi di allarme acustico e/o visivo, il superamento del valore volumetrico prestabilito e impedire, attraverso l’azionamento di un’elettrovalvola, l’erogazione di acqua e il conseguente utilizzo.
L’installazione di un impianto di trattamento d’acqua deve sempre prevedere un punto di prelievo a monte e uno a valle. Il punto di prelievo a monte rappresenta il luogo fisico dove poter prelevare un campione d’acqua e poterne misurare le caratteristiche prima che la stessa entri nel dispositivo filtrante, mentre il punto di prelievo a valle corrisponde con il rubinetto di utilizzo.
Le differenze analitiche riportate dalle analisi sui campioni prelevati a monte e a valle del dispositivo evidenziano l’efficacia dello stesso nel trattamento dell’acqua. I punti di prelievo devono essere situati in posizioni facilmente accessibili e costituiti da materiali “flambabili” per consentire adeguati campionamenti.
“Schema tipo di un sistema di trattamento al punto d’uso”
Nel rispetto delle migliori condizioni di installazione viene collocato al punto d’uso il gruppo filtrante il quale, costituito da uno o più filtri o dispositivi, consente di migliorare la qualità dell’acqua nei caratteri organolettici, ed eventualmente anche nelle caratteristiche di composizione chimico – fisica.
Lo schema, sopra riportato e di seguito descritto, rappresenta la configurazione impiantistica più comune e indica la sequenza logica del flusso.
Ovviamente alcuni sistemi di trattamento al punto d’uso più semplici prevedono soltanto una semplice filtrazione o una frigogasatura dell’acqua erogata, altri, più complessi comprendono un affinamento più spinto con l’ausilio di elementi filtranti ad azione specifica.
La casistica proposta nel diagramma di flusso non è cogente, il DM 25/2012, infatti, non dà indicazioni specifiche in merito alla tipologia e all’ordine con cui i vari elementi filtranti devono essere installati, mentre richiede espressamente che, durante il periodo di utilizzo, le prestazioni dell’impianto consentano di operare in sicurezza e che l’acqua trattata risulti conforme ai requisiti stabiliti dal Dlgs. 31/2001.
“Filtrazione meccanica”
Si tratta di una filtrazione tramite l’ausilio di filtri a sedimenti che consentono di trattenere il materiale in sospensione con dimensioni superiori al diametro dei pori dell’elemento filtrante e chiarificare l’acqua. Tali filtri sono generalmente disponibili in forma di cartucce, come elementi filtranti ispezionabili e lavabili, filtri lavabili in contro flusso, o filtri mono o pluri-uso usa e getta. La struttura di questi filtri può essere costituita da materiale sintetico (fiocchi di polipropilene), metalli, tessuti, o materiali inerti come sabbia o quarzite, disposti anche in multistrato. A seconda dei materiali utilizzati i filtri meccanici possono rimuovere il particolato potenzialmente presente nelle acque in un intervallo generalmente compreso tra 1 e 150 µm,
A seconda delle tipologie costruttive, dei materiali e della qualità delle acque sottoposte a trattamento, i filtri meccanici possono andare incontro ad un repentino intasamento; è importante quindi che l’elemento filtrante sia facilmente ispezionabile per il lavaggio o la sostituzione, anche in seguito ad un’eventuale stagnazione dell’acqua per prolungata inutilizzazione dell’apparecchiatura.
“Filtrazione con mezzi attivi”
Si tratta di una filtrazione che sfrutta le proprietà di materiali adsorbenti (carbone attivo, resine a scambio ionico o altri materiali chimicamente attivi), in grado di rimuovere sostanze disciolte nell’acqua per effetto di reazioni chimiche (interazioni tra cariche ioniche o altre attività chimico-fisiche di natura superficiale).
I mezzi filtranti sono contenuti in supporti inerti (generalmente cartucce), che agevolano l’interazione con l’acqua impedendo, nel contempo, la dispersione del materiale filtrante.
I mezzi attivi più comunemente utilizzati per i trattamenti di acque destinate al consumo umano comprendono il carbone attivo, le resine a scambio ionico (anionico e cationico) e altri mezzi catalitici o adsorbenti.
- Filtri a carbone attivo.
Sono elementi filtranti largamente usati nei trattamenti di potabilizzazione, sfruttano il potere adsorbente per affinare ulteriormente l’acqua erogata, in particolare nelle caratteristiche organolettiche. Il carbone attivo ha una spiccata capacità di rimozione del cloro e di alcuni sottoprodotti (trialometani), oltre a inquinanti organici e inorganici con effetti anche su colore, odore e sapore delle acque.
La materia prima utilizzata per la produzione dei carboni attivi è generalmente costituita da lignite, torba, noci di cocco, o altre matrici di origine vegetale o minerale, che consentono di ottenere un’elevata superficie disponibile per unità di massa (500 – 1.500 m2/g) e, conseguentemente, un elevato potere adsorbente.
Sul mercato i filtri a carbone attivo per i trattamenti al punto d’uso sono presenti in diverse forme: carbon block, GAC (carbone attivo granulare) e pre coat. L’installazione dopo un filtro a sedimenti consente di prevenirne il repentino impaccamento.
Per evitare possibili fenomeni di proliferazione microbica all’interno dell’elemento filtrante i carboni attivi vengono spesso argentizzati e resi così batteriostatici.
- Resine a scambio ionico.
Lo scambio ionico è un processo chimico-fisico reversibile in base al quale uno ione legato a una fase solida, che compone una resina scambiatrice, viene stechiometricamente scambiato con un altro ione presente nella fase liquida. Le resine sono fondamentalmente distinguibili in due principali famiglie: cationiche e anioniche. Le prime consentono di scambiare i cationi, ovvero gli ioni con carica positiva, mentre le seconde gli ioni con carica negativa. Le resine cationiche di gran lunga più utilizzate sono quelle per addolcimento, che consentono di sostituire gli ioni calcio (Ca2+) e magnesio (Mg2+) con lo ione sodio (Na+), mentre tra gli impieghi delle resine anioniche c’è la rimozione dalle acque dello ione nitrato (N03-), trattenuto e scambiato con lo ione cloruro (Cl-). Sono anche disponibili sul mercato resine a letto misto, per l’abbattimento simultaneo di anioni e cationi. Nei dispositivi di trattamento al punto d’uso le resine sono generalmente contenute in cartucce filtranti le quali, una volta raggiunta la saturazione, perdono la capacità di scambio e vanno sostituite. Gli impianti di trattamento con resine che vengono installati sulla tubazione principale dell’acqua di un appartamento o di uno stabile (es. addolcitori) sono invece dotati di sistemi automatici per la rigenerazione con soluzioni saline.
- Altri mezzi attivi.
Sono disponibili sul mercato elementi filtranti contenenti mezzi attivi con elevata capacità di rimozione nei confronti di specifici inquinanti. Tali filtri vanno installati a valle di una prefiltrazione e possono essere utilizzati nei casi in cui l’acqua, seppur rispondente ai requisiti di potabilità presenta, in concentrazioni sensibili, elementi indesiderabili (es. arsenico, fluoruri, PFAS) la cui rimozione può essere effettuata anche al punto d’uso.
L’idrossido di ferro Fe (OH)3 granulato viene prodotto artificialmente da materie prime di elevata purezza e viene impiegato soprattutto per eliminare arseniato e fosfati.
L’allumina attivata (Ab03) è un materiale amorfo, di porosità e superficie di scambio elevate che è molto efficace nella rimozione di ioni inorganici, in particolare fluoruro, arseniato, cromato, sali di selenio, berillio, tallio e contaminanti organici polari.
La pirolusite è uno dei più importanti minerali del manganese (Mn02), viene utilizzata comunemente nel trattamento delle acque per la rimozione del ferro e del manganese in esse contenuto sotto forma di sali solubili, in virtù della sua azione catalitica.
“Separazione a membrana”
A differenza della filtrazione meccanica, in cui la rimozione delle sostanze presenti nelle acque è operata da un effetto “setaccio”, per differenza di dimensioni tra le particelle sospese e i fori dell’elemento filtrante (flusso trasversale), la filtrazione su membrana consente anche la separazione di soluti disciolti con un processo a flusso tangenziale. Il trattamento di separazione è operato attraverso strutture semipermeabili che permettono il trasferimento di certi componenti presenti nell’acqua e la rimozione di altri, generando così una soluzione purificata (permeato) che va all’utilizzo e in taluni impianti (osmosi, nano filtrazione) anche di una arricchita dei componenti rimossi (concentrato), che va allo scarto.
I materiali costituenti la membrana possono essere di natura organica, generalmente sintetici (poliammide, polysulfone, poliestere), oppure inorganica (ceramica).
A seconda della natura chimica e della struttura della membrana si possono ottenere differenti range di filtrazione, secondo i quali gli impianti a membrana vengono suddivisi in quattro famiglie:
– microfiltrazione – rimozione particelle con diametro compreso nel range 0,05 – 10 µm:
– ultrafiltrazione – rimozione particelle con diametro compreso nel range 0,001- 0,05 µm:
– nanofiltrazione – rimozione particelle con diametro compreso nel range 0,0001 – 0,001 µm:
– osmosi inversa – rimozione particelle con diametro inferiore a 0,001 µm,
La filtrazione con membrane richiede sempre un pretrattamento dell’acqua, per prevenire il repentino impaccamento e deterioramento delle stesse.
Le membrane consentono di migliorare le caratteristiche organolettiche dell’acqua, privandola del materiale in sospensione e dei cattivi gusti associati alla presenza di sostanze estranee indesiderabili, oltre ad effettuare una barriera efficace nei confronti della carica microbica eventualmente presente.
In particolare, l’osmosi inversa, agendo a livello ionico, ha la capacità di ridurre il tenore salino e la concentrazione di qualsiasi sostanza presente nell’acqua, caratteristiche che ne motivano il largo impiego negli impianti di trattamento al punto d’uso. Una corretta regolazione della mineralizzazione può essere effettuata con l’ausilio di opportune valvole di miscelazione, che consentono di ristabilire i giusti parametri del contenuto salino dopo il trattamento, oppure con filtri mineralizzatori che rilasciano una determinata quantità di sali al passaggio dell’acqua. La salinità residua dell’acqua trattata può essere controllata con l’ausilio di semplici strumenti (conducimetri).
“Disinfezione con raggi UV”
Uscita dal gruppo filtrante l’acqua è sprovvista di cloro copertura pertanto, come ultimo step, viene generalmente installata una lampada a raggi ultravioletti che consente di abbattere la carica microbica residua eventualmente presente.
I sistemi UV utilizzati nel settore del trattamento dell’acqua al punto d’uso impiegano come sorgenti lampade a vapori di mercurio a bassa pressione, in grado di emettere radiazioni comprese tra 240 e 280 nm, con un picco intorno ai 260 nm (UV-C). Tale lunghezza d’onda ha un elevato potere germicida in quanto, assorbita dal DNA e dai sistemi enzimatici di virus e microrganismi, ne modifica la struttura rendendoli inoffensivi. Le lampade fluorescenti al mercurio, alloggiate in apposite guaine di quarzo, sono sicuramente la fonte di radiazione UV maggiormente impiegata nel trattamento dell’acqua; tuttavia nel settore al punto d’uso, ovvero per piccole portate d’acqua, vengono anche impiegate da alcuni anni sorgenti a LED, che presentano numerosi vantaggi rispetto alle classiche lampade a scarica (nessun riscaldamento dell’acqua, lunga durata, efficacia immediata all’accensione), con il limite della potenza ridotta che le vincola a impianti di piccole dimensioni.
La radiazione UV è una tecnica di disinfezione che presenta numerosi vantaggi: lascia inalterate le caratteristiche organolettiche dell’acqua trattata, non genera i sotto prodotti caratteristici della disinfezione chimica, è efficace nei confronti di qualsiasi ceppo microbico e non presenta pericoli di sovradosaggio. Per contro l’azione di disinfezione di questi sistemi è localizzata nell’area dell’irraggiamento, quindi non esiste un potere di copertura disinfettante, inoltre per garantire l’efficacia del trattamento è necessario un controllo di alcune variabili fondamentali di processo quali la trasmittanza dell’acqua da trattare, la pulizia della guaina protettiva di quarzo, l’energia della lampada, la presenza di solidi sospesi e la natura e quantità della carica microbica in ingresso.
“Refrigerazione e gasatura”
La gasatura consiste nell’aggiunta di anidride carbonica di qualità alimentare (E 290) all’acqua mediante un processo che risulta più efficiente a bassa temperatura, motivo per cui questa operazione viene normalmente preceduta dalla refrigerazione. L’anidride carbonica disciolta in acqua comporta la formazione di acido carbonico (H2C03) che impartisce all’acqua un pH acido, compreso tra 3 e 4 a seconda del livello di gasatura. La concentrazione di anidride carbonica utilizzata è generalmente compresa nell’intervallo tra 3000 ppm (poco gasata) e 6000 ppm (molto frizzante). I gruppi di raffreddamento sfruttano spesso la tecnologia del “banco di ghiaccio”, ma esistono altre soluzioni in grado di garantire la necessaria riserva di “freddo” (raffreddamento a serbatoio/con accumulo, banco a secco con blocco di alluminio, saturatore refrigerato che funge da volano termico), la cui scelta dipende essenzialmente dalla potenzialità richiesta all’impianto, ovvero dai volumi d’acqua erogabili nell’unità di tempo. Il trattamento di frigogasatura va considerato separatamente al gruppo di filtrazione e può essere applicato indipendentemente, esistono infatti sul mercato impianti che, sprovvisti di qualsiasi elemento filtrante, sono dotati soltanto del gruppo di refrigerazione e gasatura che consente di erogare acqua di rete fresca e frizzante.
Strettamente dipendente dalla filiera di trattamento è la manutenzione delle apparecchiature stesse, compresa la fase di sanitizzazione, che deve essere affidata a personale qualificato e che deve essere eseguita tenendo conto delle indicazioni riportate nei manuali d’uso e manutenzione delle singole apparecchiature. Si rimanda invece all’Allegato 2 per le indicazioni specifiche riguardanti la metodologia di valutazione dell’efficacia della sanificazione degli impianti.